Ritrovarsi alle prove rimestolando fra le scalette di Giulia per ottenere una lista di canzoni per il concerto dell’8 Dicembre, c’est magnifique. Questo nonostante io abbia scoperto che Giulia aveva almeno dodici scalette diverse e suonava, praticamente, con ogni musicista fra Modena e Napoli. Suonava persino con me.
Sono passati dieci anni, eppure è l’altro ieri che litigavo con Giulia che mi propinava queste canzoni melense alla Wild World, molto melodiche: sei terrona dentro, le dicevo con affetto prima che intonasse una di quelle sbobbe di Giorgia o, peggio, Irene Grandi. Certamente qualcuno porebbe dire che questi giudizi sono incompetenti e di parte, e questo qualcuno avrebbe ragione: d’altronde avere un’opinione serve esattamente a questo, a dare a qualcunaltro l’occasione di pensare di essere più intelligente di te.
Il tocco di genio, per me, Giulia lo aveva sui pezzi veloci, graffianti: aveva le note nel sangue, il ritmo nella testa come un metronomo, l’istinto di una tigre, e si conquistava la canzone dopo pochi secondi, alternando una voce ora fine, angelica, ad una blues, nera. Senza fatica.
A noialtri toccavano gli spartiti, quando a Giulia bastava l’ascolto. Agli altri ci voleva l’impianto da milioni di lire, a lei l’androne vuoto di un bagno per creare un effetto Royal Albert Hall. Giulia suonava malvolentieri con i fuffoni in fase jazzista, che suonavano quasi a forza con lei – i chitarristi e i contrabbassisti sopportano male che gli si levi la scena.
Se il Blues è improvvisazione, calore, forse Giulia è stata un’emanazione di qualche vecchietto della Louisiana. Oppure la reincarnazione di una marionetta, capace di prendere forme e colori a seconda del teatrino all’interno del quale si trovava. Fatto sta che mai più, e mai prima, ho incontrato un talento così verace, felice.
Sono passati dieci anni, è vero, ma sono passati pochi minuti nella storia dei nostri cuori, della nostra memoria emotiva, ed è per questo che vogliamo celebrare Giulia Iori con un concerto l’8 Dicembre, presso la Parrocchia di San Francesco: tutti quelli che hanno suonato, cantato, o imparato la musica da lei parteciperanno. A parte i jazzisti fuffosi – che non hanno mica fatto carriera, sai?
Ho letto alcuni post (si chiamano così?) del blog e voglio fare i complimenti a Juanita per le descrizioni di Giulia che emergono. Io purtroppo non ho avuto modo di suonare con Giulia, l’ho solo conosciuta, indirettamente, frequentando l’Oratorio. I flash che ci ha fornito Juanita sono bellissimi e confermano l’idea che mi sono sempre fatta di lei e del suo rapporto con la musica. Ho solo due ricordi di lei, entrambi legati al periodo in cui frequentavo il Grest (da bambina, non ancora da animatrice). Ricordo che un anno eravamo nel salone, con tutte le squadre, insomma, un gran casino. All’improvviso Giulia monta sul palco e scoppia un boato degno dei migliori concerti: con la sua chitarra intona la colonna sonora di Pocahontas e anche noi più grandi facciamo religioso silenzio per ascoltarla, tutti meravigliati dal suo talento vocale.
L’altro invece riguarda il momento del Grest in cui le squadre stanno a sedere per terra di fianco all’allora ufficio di Don Paolo. Ad un certo punto arriva Giulia, con la sua chitarra in spalla, sorridendo e cantando: “l’ultimo bicchiere e me ne andròòò”, verso che mi è sempre rimasto in mente anche se non ho mai saputo che canzone fosse. Quella ragazza emanava allegria, era solare come pochi sanno esserlo. Anche se non ci siamo mai parlate, vorrei approfittare di questo spazio per dirti GRAZIE GIULIA.