Quando arriva un pensiero triste, lo lascio entrare. Stendo i cuscini delle poltrone, controllo di non avere sbriciolato sul divano o di avere attaccato la palla di cingomma a qualche lampada, e lo lascio iniziare a torturarmi gli intestini, il cuore, a farmi lacrimare gli occhi: quello che inizia finisce, tanto vale dargli subito il via per essere di nuovo allegri entro le sei del pomeriggio, l’ora piu’ difficile da reggere quando ci manca qualcuno. Penso a questo appuntamento con il dolore come a una specie di tributo, credo che quelli che ci mancano ogni tanto guardino per vedere se ci pensiamo ancora, se nella solitudine della casa le immagini fanno lo stesso effetto che fuori, in mezzo alla gente.
Per quanto riguarda Giulia, anche il suo pensiero e’ il benvenuto nel mio salotto martoriato dalle impronte di bicchieri di vino. Abbiamo un diversivo, quando stiamo assieme, che e’ quello di ripercorrere le liste di canzoni che amavamo suonare e cantare: decine, forse anche piu’ di un centinaio. Piu’ di tutto mi piace l’immagine di Giulia che piega la testa verso la sinistra quando deve tirare un acuto. E anche l’Inglese all’Alberto Sordi che abbiamo utilizzato dal vivo, piu’ volte.
Il ricordo piu’ buffo in assoluto mi serve a parlare con quel signore malinconico che si piazza sulla poltrona e mi vuole pigliare a cazzotti il petto: questo e’ senza dubbio la mai dimenticata esecuzione di Calling you (dal film quello con la cicciona, non riesco a ricordare nessun nome oggi) al Jazz Club di Monsummano che non mi ricordo come si chiamava e che serviva il pane arrosto con la baciasca di pomodorini in olio, zucchero, sale e basilico. “Dai, fallo te, fallo te il ritornello”, mi diceva Giulia, “io ci fo il controcanto” – Eva acconsentiva placida. E io “No Giulia, dai non me la sento, non c’arrivo”. “Dai fallo te”. E io “va bene”.
Arrivate al dunque mi si solidifica un pezzo di catarro proprio li’, in mezzo alla gola, e l’urlo aggraziato che sta sulla “a” di Calling you diventa un immenso, fragoroso, garrino. Roco. Quasi un rutto stratosferico che genera un’ovazione di risate che poche volte in vita mia mi sono sentita cosi’ male. Eva non ce la fa piu’ a suonare e attacca a ridere, Giulia e’ praticamente ribaltata all’indietro, a me scende una lacrima di rabbia. Mi giro verso Giulia e sto per azzannarle il collo quando lei mi dice “prego Sfrita, non c’e’ di che” e giu’ si sganghera un’altra volta. Eccoti servito Signor Malinconico.
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